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I fichi: produzione e la lavorazione di un tempo.

Gli alberi di fichi erano spesso piantati negli spazi tra i filari; circa quaranta per ogni tomolo di terra. Il frutto dei fichi era in passato tra i pochi alimenti dei contadini del Meridione d’Italia. A fine estate, infatti, la povera gente risparmiava il pane perché lo sostituiva con i fichi che, già giunti a maturazione, si potevano mangiare. Nella credenza popolare era importante per i fichi l’influsso della luna. Questa infatti si riteneva incidesse sulla maturazione del frutto, lu tiempu ti toi luni (il tempo di due lune): dai primi del mese di agosto alla fine di settembre si potevano raccogliere i fichi. In questo periodo le famiglie pernottavano in campagna nei pagliai o nelle case rurali. Le donne con i loro panieri raccoglievano il frutto dai rami più bassi, utilizzando dei piccoli arnesi artigianali, lu cruèccu, lu truèccu (bastone ricurvo), usati per tirar giù i rami più alti. I bambini invece recuperavano lo scarto, i fichi caduti per terra, li còculi (fichi essiccati) che erano venduti a basso prezzo e servivano soprattutto per l’alimentazione animale. Dopo la raccolta le donne spaccaunu li fichi (tagliavano a metà i fichi) e li sistemavano disponendoli sobbra li cannèzzurii (sui cannicci) per farli seccare al sole. I cannicci erano lunghi circa 1,70 m e larghi ½ metro, erano costruiti con canne affiancate l’una all’altra e legate a traverse di canne più grosse con il giunco o la corda di cocco. I fichi secchi erano poi portati al forno pubblico sfusi o accoppiati, dopodichè, ancora caldi, venivano sistemati intra li putári (nei vai di terracotta), capàse e li asétti (vasi di creta a bocca larga), per le provviste dell’inverno. Li còculi invece, erano immersi in acqua bollente, e giunti a cottura, asciugati, si ricoprivano di una patina dolciastra trasformandosi in cuculi zzùccarati (fichi zuccherati). Dai fichi verdi invece, si otteneva (lù cuèttu ti fichi) che, all’occorrenza, sostituiva il miele: dopo che si erano fatti bollire, i fichi, già seccati e cotti nel forno, venivano posti su una tela di iuta appoggiata a due sostegni e, ogni volta che questa veniva strizzata, colava, nel recipiente che era di sotto, un liquido dolcissimo che veniva utilizzato appunto come miele. Il miele (o lu cuèttu ti fichi) veniva utilizzato soprattutto nel periodo natalizio come condimento a lli péttuli e alli purcidduzzi. Quando la raccolta era abbondante, i fichi venivano venduti ai compratori che ne stabilivano il prezzo ed acquistavano il frutto scelto. I fichi di migliore qualità, infatti, già seccati e tagliati a metà, erano trasportati dai contadini con i traini e stoccati nei magazzini o nelle fabbriche dove venivano lavorati. Negli opifici, le lavoratrici accoppiavano i fichi con altri della stessa grandezza, già tagliati nello stesso modo, e farciti di mandorle, erano sistemati intra li štanáte (in grandi teglie rettangolari), posti di traverso ben allineati in modo che se ne potessero introdurre il più possibile per essere cotti al forno. A cottura ultimata, ancora caldi, i fichi erano compressi e aromatizzati con foglie d’alloro. In seguito si confezionava il prodotto con pellicole di cellofan chiuso da lacci, oppure avvolgendolo in carte merlettate e ponendolo all’interno di cestini in vimini chiusi e avvolti da cordicelle. In base alle richieste degli esercenti, i fichi impacchettati si spedivano con carro ferroviario che partiva dalla stazione di Manduria per giungere nelle varie località pugliesi. I commercianti al minuto e grossisti locali provvedevano a commercializzare il prodotto in tutta Italia e all’estero. Nel periodo bellico, le confezioni di fichi venivano inviate anche ai soldati impegnati al fronte.

Tratto da Quaderno del ventennale 1972-1992, Liceo Scientifico Statale “Galileo Galilei” – Manduria – . L’utile canna di R. Jurlaro, Galatina, Congedo editore, 1975. Terepà, 2009. C’era una volta in una masseria … di Anna Stella Mancino. Quaderni Archeo. N° 2, marzo 1997, Barbieri editore. Liberamente - Quindicinale di Informazione, Attualità e Cultura.. Terepà.


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