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Giochi di una volta Pag. 2

Un Salto nel passato nella Manduria di ieri

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Salto con la corda
Nel quale le bambine gareggiavano nell’esibizione di resistenza al salto, o da sole, tenendo con le due mani i capi di una corda, oppure saltando la corda che due compagne, tenendo gli estremi, facevano roteare scandendo la seguente filastrocca: « Mela, pera, arancia, uva limone, fico, seta (melagrana), cutúgnu, melacotogna e mandarino, mela, pera…», e così via, fino a quando alla bambina che bisbigliava nel salto subentrava quella cui era stato attribuito il nome del frutto che nominava nell’istante dello sbaglio.
Tratto da La Donna ieri e oggi il vissuto nelle immagini (1880-1945), Istituto Tecnico « L. Einaudi » - Manduria. Progetto giovani 2000 – A.S. 1995-1996.

Gioco con la Palla
Il gioco della palla ha sempre esercitato un forte fascino sui bambini e sulle bambine che si divertivano in modo diverso. Comunissimo fra le bambine era quello in cui, di fronte a un muro, lanciavano la palla, con le mani, sillabando la seguente filastrocca: « Muovermi, / senza muovermi, / senza ridere, / mani battere, / zigo zago, / un violino, / un bacino, / sotto il ponte, / arrivederci. »
Tratto da La Donna ieri e oggi il vissuto nelle immagini (1880-1945), Istituto Tecnico « L. Einaudi » - Manduria. Progetto giovani 2000 – A.S. 1995-1996

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Lu curru ( trottola di legno)
per prima cosa veniva disegnato un cerchio per terra e, a una certa distanza da esso, veniva segnata la linea di partenza sulla quale un giocatore designato dalla sorte poneva la propria trottola (chiamata trottola passiva). Il gioco consisteva nel far sì che il proprio curru, una volta lanciato, andasse a colpire la trottola passiva e la facesse entrare nel cerchio. Quando ciò avveniva il gioco era terminato; solo che la trottola che non riusciva a colpire quella passiva lo diventava a sua volta finché, a gioco concluso, la trottola che si trovava nel cerchio veniva penalizzata. Precisamente essa veniva infilata in un buco del muro e colpita (pizzicata) dalla punta delle altre trottole in gioco; essendo però tale punta in ferro, poteva accadere che lu curru venisse danneggiato, con grande dispiacere del proprietario.
Tratto da C’era una volta in una masseria … di Anna Stella Mancino. Quaderni Archeo. N° 2, marzo 1997. Barbieri editore.

Lu mazzu
si giocava con un bastone di legno, sagomato ad un’estremità in modo da consentire un’agevole impugnatura, si batteva su un bastoncino affusolato detto appunto mazzu (generalmente era un ramoscello d’ulivo) che, levatosi in aria perché colpito da un giocatore, veniva nuovamente colpito dallo stesso con l’intento di spingerlo, dopo aver pronunciato mazza unu, mazza toi, mazza treti ( mazza uno, mazza due, mazza tre), in un cerchio o comunque in una zona delimitata dal segno di una pietra o di altro materiale, che costituiva la meta finale.
Tratto da C’era una volta in una masseria … di Anna Stella Mancino. Quaderni Archeo. N° 2, marzo 1997. Barbieri editore.

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La cumèta ( il moderno aquilone)
I materiali occorrenti erano un foglio di carta abbastanza spesso, colla (preparata mescolando acqua e farina), due sottili canne legate a croce e un filo di spago piuttosto resistente (azza). Una volta fissata la piccola intelaiatura di canne alle estremità del foglio e praticato un foro in cui far passare lo spago, non restava altro che far librare la cumèta nel cielo. La competizione stava senza dubbio nel fare l’aquilone più bello (a tal fine ci si adoperava anche a dotarlo di una coda fatta sempre di carta) ma assai più importante era che la propria cumèta rimanesse in aria più a lungo di quella dei compagni.
Tratto da C’era una volta in una masseria … di Anna Stella Mancino. Quaderni Archeo. N° 2, marzo 1997. Barbieri editore.

Li mammi
Si giocava in cerchio con al centro una bambina che faceva la “mamma”. La prima giocatrice diceva di aver rotto qualcosa (ad esempio na buttija, una bottiglia) ma la mamma le diceva di non preoccuparsi, chè ne avrebbero comprato un’altra; così anche la seconda, fino a quando una giocatrice non diceva “ Ma ággiù zuppatu lu agnòni!” (Ma’, mi è cascato un bambino): allora la “mamma” rincorreva le compagne che erano in cerchio, cedendo il suo ruolo a colei che per prima fosse stata acchiappata.
Tratto da C’era una volta in una masseria … di Anna Stella Mancino. Quaderni Archeo. N° 2, marzo 1997. Barbieri editore.

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