Briganti e brigantaggio a Manduria, Sava e Avetrana.

Il fenomeno del brigantaggio nell’Italia meridionale, sorto nel 1799 dapprima in Calabria con la milizia reazionaria del cardinale Ruffo contro l’Impero Borbonico, si sviluppò successivamente in tutto il resto del Mezzogiorno ed ebbe dimensioni più vaste dopo l’unità d’Italia, nel 1860, questa volta a favore del vecchio regno partenopeo e contro quello sabaudo. Strumento di lotta reazionaria e sociale, si diffuse a causa dell’insoddisfazione delle classi contadine, dovuta alle misere condizioni di vita del Sud, e del clero per la perdita del potere temporale. Nel periodo di dominazione borbonica, i briganti si organizzarono per scatenare rivolte e saccheggi anche nella piccola Repubblica Salentina, definita a quel tempo il primo anello della Grande Repubblica Europea. In questa zona, soprattutto a Grottaglie, intorno al 1814, si distinse una famosa banda capeggiata dal terribile ex prete Ciro Annicchiarico. Sono note le sue vicende di saccheggi e delitti tanto crudeli da allarmare i ministri e lo stesso re di Napoli, i quali, per fronteggiare il pericoloso brigante, inviarono in questa zona le truppe inglesi, allora alleate dei Borboni. Altre bande si unirono a quella di Annicchiarico, compiendo malvagità nei centri di Francavilla Fontana, Ceglie Messapica e Martina Franca.

Solo dopo quattro anni di scorrerie e rivolta, Annicchiarico fu finalmente catturato nel borgo di San Marzano e l’8 febbraio 1818 fu pubblicamente fucilato nella piazza di Francavilla Fontana, colma di gente che in coro lo vituperava. Stessa sorte toccò più tardi al brigante Cosimo Mazzeo, alias “Pizzichicchio”, condannato alla fucilazione nel 1863 a seguito di un regolare processo celebratosi a Potenza. Quest’ultimo, anch’esso spietato capobanda, aveva acquisito particolare fama per le sue nefandezze, ma fu calorosamente festeggiato dal popolo di Grottaglie per aver devastato le abitazioni dei liberali e messo in fuga i militi della Guardia Nazionale che vigilavano la città.

Sebbene privati del loro capo, i superstiti della banda di Pizzichicchio continuarono a commettere atrocità nel circondario tarantino. Il contadino Giuseppe Bracciale, infatti, mentre tornava dalla campagna, fu ucciso dai briganti. Sul suo corpo furono praticate sevizie: la sua testa fu divisa in due e gli furono cavati gli occhi. Altre bande e capibanda meno conosciuti imperversavano nel nostro circondario, incutendo terrore alle popolazioni. Intorno al 1862, Erchie, ad esempio, fu attaccata da un gruppo di briganti e si difese grazie alla reazione di alcuni cittadini che, non temendoli, impugnarono le armi e costrinsero i malfattori a fuggire. A Sava, invece, contadini in tumulto, armati, si recarono al presidio della Guardia Nazionale gridando “Viva Francesco II”, lacerando la bandiera, distruggendo gli stemmi sabaudi e impossessandosi delle armi. I più irriducibili si recarono di notte a Torricella per alimentare la rivolta, ma il loro intento eversivo fallì e furono arrestati. L’ordine fu ristabilito ancora una volta grazie all’intervento risolutivo della Guardia Nazionale di Manduria.

Manduria, composta principalmente da una classe contadina anch’essa povera e infelice, si contrapponeva però all’illegalità, alle violenze e alle brutalità degli uomini sovvertitori. Già nel 1817, la città aveva interrotto qualsiasi comunicazione con le vicine Francavilla e Grottaglie per ostacolare il dilagare del brigantaggio nel proprio agro. Infatti, il comandante delle forze inglesi dislocate in Puglia, il generale Church, aveva appreso dal suo aiutante di campo, il capitano De Nitis (venuto qui in ricognizione), che le guardie comunali avevano impedito ai banditi di insediarsi a Manduria, vigilando anche di notte. Church, quindi, su una mappa contrassegnò Manduria con uno spillo rosso per indicarla tra quei comuni che si erano dichiarati contro il brigantaggio e che egli definiva “pour nous”. Tra quel generale e la nostra gente sorse una buona intesa: i manduriani si sentivano protetti dalle truppe inglesi, che li aiutavano a sconfiggere il nemico comune.

Tuttavia, questa intesa non impedì ad alcuni briganti di rifugiarsi nelle nostre campagne. Ciò è riscontrabile in un episodio che il capitano De Nitis riferì al suo generale e che è riportato con una colorita prosa dal concittadino Giuseppe Gigli nel suo manoscritto “Spigolature di letterature, di storia e d’arte”. In questi appunti, De Nitis riporta al suo superiore: “Alcuni signori di Manduria stavano organizzando una caccia al cinghiale nel bosco dell’Arneo, e pensai di tornare al quartier generale passando di là. Lasciai Manduria questa mattina allo spuntar del giorno, mangiai della ricotta fresca ad Avetrana e, saputo che alcuni briganti erano stati visti nelle macchie, mi affrettai a risalire in sella e, piantando gli speroni nel fianco del mio cavallo, mi inoltrai nel bosco. Dopo aver percorso un paio di miglia, incontrai quei birbaccioni, per lo più scesi da cavallo, ma alcuni ancora in sella. Voltai la testa del mio cavallo per galoppare indietro, verso Avetrana o Manduria, ma la mia ritirata fu impedita da 8 o 10 briganti a piedi, che si erano appostati attraverso la strada. Sfidare le loro carabine sarebbe stato esporsi a morte certa. Allora, fidando nella sorte e nel mio buon corsiero, lo spronai in avanti attraverso la comitiva, seguito dalle palle che fioccavano tra gli alberi, ma che non mi colsero, e presto li ebbi lasciati indietro”.

Con sottile sarcasmo, aggiunge Gigli: “Non sembra un racconto (eccetto per le palle fischianti tra gli alberi) dei cavalieri di Re Artù?”

“E non ha la nostra simpatica Manduria da raccontare alla gente un’altra parte sconosciuta” ricca di altri episodi. Il brigante Domenico Bosco, di Gioia del Colle, catturato nel 1862, dichiarava che molti massari erano costretti a far bivaccare i briganti nelle loro masserie; chi non accettava rischiava di fare la fine di un massaro, tal Giuseppe Biasi, ucciso nei pressi della masseria Santoria, in agro di Torre Santa Susanna. Il cadavere fu rinvenuto nei pressi di San Pietro in Bevagna. Un altro brigante, Raffaele Esposito, anch’egli catturato, dichiarò che a uccidere Biasi fu il suo comandante, Pasquale Romano (ex sergente borbonico) che, dopo averlo scannato, infierì con un’arma da taglio come se avesse macellato un animale.

Diverse vicende coinvolsero Manduria e tra queste va ricordato lo scontro e l’uccisione, in contrada Cornola, di tre soldati della Guardia Nazionale da parte del famigerato brigante Pizzichicchio, di San Marzano, molto amico del brigante Cucuzzieddu. Il comandante della Guardia Nazionale di Manduria, Vespasiano Schiavoni, con la collaborazione del massaro di masseria Fidicchie, uccise il famoso brigante La Orpi, il cui corpo fu esposto nella piazza centrale di Manduria.

Walter Pasanisi