I sarcofagi del Re nel mare di San Pietro in Bevagna.

Foto. Archivio KR, Dott. Roberto Petriaggi e Dott. Matteo Collina. Rotary Club Manduria.

I sarcofagi del Re si trovano al largo di San Pietro in Bevagna (Manduria, TA), non lontano dalla foce del fiume Chidro, su un fondale prevalentemente sabbioso soggetto a frequenti insabbiamenti. A una profondità che varia tra i 3 e i 6 metri circa, giace il carico di una nave di età romana proveniente dal Mediterraneo orientale, affondata mentre costeggiava le coste pugliesi. Il sito, conosciuto sin dagli anni ’30 del XX secolo, si trova a circa 70 metri dalla riva, e il carico superstite del relitto è stato investigato per la prima volta nel 1964 da Peter Throckmorton e John M. Bullitt.

Successive indagini scientifiche sono state condotte dalla Soprintendenza Archeologica della Puglia (Taranto) nel 1995 e, successivamente, dall’Istituto Centrale per il Restauro nel 2009, che ha realizzato un itinerario di visita subacqueo attrezzato con pannelli esplicativi in loco. Inoltre, tra il 2010 e il 2011, sono state eseguite analisi mineralogico-petrografiche e isotopiche sui campioni di marmo presso il CNR-IBAM di Lecce, la Soprintendenza per i Beni Archeologici della Puglia e l’Università del Salento. I sarcofagi sono stati oggetto di ricerca da parte anche di studiosi e documentaristi come Folco Quilici e Alberto Angela. Li pili ti San Pietru o li pili ti lu Rei (le vasche di San Pietro o le vasche del Re). Cosi erano sempre state definite dalla gente comune per la stretta somiglianza con quelle vasche (pila=vasca) molto simili ai moderni lavelli, costruite però con un impasto di cemento e graniglia di fiume con, a lato, lu stricaturu (lo strofinatoio), un piano inclinato e scanalato che consentiva la strofinatura e la strizzatura di panni da lavare. In effetti si tratta di blocchi semilavorati, di pregiato marmo, scavati all’interno perché probabilmente destinati a sarcofagi greca dello Jonio.

Il sito si estende per circa 148 mq e il carico della nave comprende complessivamente ventitré sarcofagi (peso totale di circa 75 tonnellate) in marmo bianco dolomitico, di forme e dimensioni diverse, con un peso variabile tra 1.000 e 6.000 chilogrammi, per un totale di circa 75 tonnellate, provenienti dalle cave di Vathy-Saliara sull’isola di Taso. I sarcofagi, al momento dell’imbarco, erano solo sbozzati: alcuni rettangolari, altri a vasca con pareti brevi arrotondate (il cosiddetto tipo a Lenòs) e con bugne sporgenti che potevano essere successivamente rifiniti nel porto di destinazione, con busti o protomi leonine e altri elementi figurati, zoomorfi e fitomorfi. Per ottimizzare lo spazio durante il trasporto, tre sarcofagi di dimensioni particolarmente ridotte erano stati inseriti all’interno di quelli più grandi. Inoltre, tre esemplari risultano doppi, ossia con due cavità affiancate ricavate da un unico monolite, da separare una volta giunti a destinazione.

Fino ad oggi, non sono emersi resti superstiti dello scafo ligneo. Tuttavia, si suppone che la nave di San Pietro in Bevagna avesse una lunghezza di circa 20-22 metri e una larghezza di 5-6 metri, a giudicare dall’estensione del sito. In base alla tipologia dei sarcofagi e della ceramica rinvenuta, oltre che per analogia con il relitto di Methoni (Peloponneso, Grecia), le caratteristiche in molti aspetti sono comparabili, e la datazione ipotizzabile per il naufragio è intorno alla prima metà del III secolo d.C. Si suppone che i manufatti lapidei fossero destinati a Roma e sarebbero stati sbarcati, in un primo scalo, nella Statio Marmorum (luogo di raccolta dei marmi) di Ostia. Da qui, per via fluviale, a bordo delle naves Caudicariae (particolari tipi di imbarcazioni impiegate per il trasporto fluviale delle merci scaricate dalle navi commerciali marittime), avrebbero risalito il Tevere fino ai porti della Ripa Marmorata, presso la Statio Rationis Marmorum, vicino al Monte Testaccio, o a quello del Campo Marzio, dove operavano altre officine di marmorari.

Tra i materiali recuperati si segnalano: due frammenti in legno d’olmo, forse attribuibili alle ordinate della nave; una lamina e una lastra di piombo (probabilmente parte della pompa di sentina), un anello anch’esso in piombo, frammenti di sigillata africana e di anfore, e la “cassa” di bordo contenente monete. Il carico, datato al III secolo d.C., era verosimilmente destinato al mercato di Roma. Per migliorare la fruibilità del complesso, sono stati installati sul fondale due pannelli esplicativi, protetti entro teche di acciaio inox con coperchio richiudibile.

Il sito di San Pietro in Bevagna continua a rivelare i suoi segreti, invitando studiosi e appassionati a esplorare un pezzo di storia che, ancora oggi, racconta storie di antichi navigatori e di un’arte senza tempo. La scoperta di nuovi reperti potrebbe portare a una comprensione ancora più profonda di questo straordinario patrimonio.

Bibliografia: Giornale web Manduria oggi. Mercoledì 19.05.2024. Manduria – Attualità-  Dott. Roberto Petriaggi, Rotary Club Manduria Distretto 2120 – Puglia e Basilicata. Maggio 2024. MIC Ministero della Cultura. Soprintendenza Nazionale per il Patrimonio Culturale Subacqueo. R. Congedo, Salerno, scrigno d’acqua, Manduria, Lacaita Editore, 1984.