Realizzare il concentrato di pomodoro (la conserva) richiedeva molto tempo e pazienza: dopo averli bolliti, i pomodori venivano passati alla passacunserva, un attrezzo in rame di forma quadrata, con i bordi di legno e il fondo bucherellato (una sorta di grattugia); proprio attraverso i fori del fondo, i pomodori “venivano passati” in un recipiente di terracotta (lèmma) messo sotto la passacunserva, appoggiata in genere su due tufi. Il passato così ottenuto veniva versato in piatti di terracotta dagli alti bordi (oppure, per le grandi quantità, dentro la mattra-banca), coperto da un velo per evitare la caduta di impurità, e portato sul terrazzo (sobbra a lla làmia) perché il sole lo essiccasse (si “coceva” in circa una settimana, rimestando due-tre volte al giorno con un lungo cucchiaio di legno); in ultimo, per la sua conservazione, si aggiungeva olio crudo e lo si riponeva in vasetti cilindrici di terracotta (li asètti) oppure in orci più grandi (li capasi). Il prodotto finale non si presentava fluido ma secco; per la sua conservazione si procedeva a fare, con le mani, delle piccole forme tonde e schiacciate, sistemate una per una nei recipienti . Al momento di utilizzarlo per il ragù era bastevole un solo cucchiaio per condire fino a quattro porzioni. Un altro sistema per ottenere la salsa di pomodoro consisteva nella cottura dei pomodori a bagnomaria: essi venivano messi, spremuti e ancora crudi, nei vasetti di vetro, i quali dopo essere stati battuti su uno spesso strato di coperte per impedire la formazione di bolle d’aria, venivano sistemati nel calzerotto (quatarieddu) pieno di acqua bollente, circondati da pezze oppure da paglia per impedire che, venendo a contatto fra di loro durante l’ebollizione, i vasetti potessero rompersi.
Tratto da C’era una volta in una masseria … di Anna Stella Mancino. Quaderni Archeo. N° 2, marzo 1997. Barbieri editore. Terapa 2009.