Circa venti anni fa esisteva in piazza Garibaldi un vecchio bar dove il tempo pareva si fosse fermato: il Gran Caffè. Questo locale distinto, ma un po’ dimesso per l’età, si distingueva per il suo stile retrò che rievoca quello della Belle Époque. Al suo interno, appena rischiarati dalle fioche luci dei neon, anziani signori seduti intorno a un tavolino si raccontavano. Facevano loro compagnia opache cristallerie che conservavano, appoggiate qua e là, superstiti bottiglie di alcolici e sbiadite confezioni di biscotti. In fondo al bar, su un vecchio e robusto bancone, si notava una vetusta macchina per caffè espresso (anno di costruzione 1959) in disuso, che testimoniava il suo trascorso ciclo di attività. Poco distante, in stridente contrapposizione con l’ambiente, un computer (utilizzato per elaborare sistemi del totocalcio) e una macchina validatrice di schedine mostravano stralci di moderne realtà nel vano tentativo di insinuarsi tra il vecchio. All’esterno, nelle vetrine prive di luci, vuote e impolverate, erano esposte foto d’epoca che ritraevano il locale nei diversi anni di attività. Tra un’immagine e l’altra spiccavano, appiccicati ai cristalli, scritti a mano inviti a degustare le ottime specialità della casa. Al Gran Caffè, da più di un secolo, era possibile assaporare il delizioso gelato al limone, la limonata di giornata di “vero succo” e il cioccolato caldo con panna. Questo bar, noto per le sue prelibatezze, pare sia stato anche muto testimone di varie vicende di vita manduriana succedutesi nel tempo.
Le analogie con il Caffè Caputo, sorto nel 1848.
Da sempre indicato come il “Caffè dei politici”, il Gran Caffè è sorto con questa denominazione intorno al 1848. Le sue origini, però, potrebbero risalire a prima di questa data, quando nell’attuale piazza Garibaldi, all’epoca Porta Grande, nasceva il Caffè Caputo. Lo Status Animarum (lo stato civile del tempo) redatto dal can. Marco Gatti (l’ultimo aggiornamento risale al 1844) riporta che al civico 19 dell’allora piazza Porta Grande abitava un certo Agostino Caputo, “di professione caffettiere”, ardito rivoluzionario che gestiva l’omonimo Caffè, conosciuto a Manduria come il “Caffè dei liberali”. Resta il dubbio sull’esatta posizione di tale locale, ma possiamo ritenere che questo fosse ubicato nello stesso punto dove sorse il Gran Caffè. C’è di fatto, però, che l’immobile al cui pianterreno sorgeva il Gran Caffè sembra costruito intorno al ’900. Pertanto, pur essendo i due Caffè probabili “consanguinei”, è altrettanto verosimile pensare che le caratteristiche fisiche dell’uno non si siano tramandate nel secondo. Se il Gran Caffè non può ritenersi strutturalmente uguale al Caffè Caputo, rimane sorprendente l’analogia dei due locali, sorti nello stesso punto ed entrambi vicini alla realtà politica della nostra città. Il Caffè Caputo, come si legge in “Manduria nel Risorgimento” di Michele Greco, accoglieva nei suoi locali cittadini e forestieri affiliati alle sette segrete. Lo stesso proprietario, ribelle sovvertitore, già a 19 anni era “sospettato e spiato da tutti gli organi polizieschi”. Il 2 settembre 1848, mentre la città celebrava la festa di S. Gregorio, Agostino Caputo fu arrestato dalle truppe del generale Colonna. “Il figlio Carmine (…) era stato depositario di tutte le carte della Famiglia: minacciato di arresto, decise (…) di consegnare tali carteggi al generale Colonna per salvarsi. Lo seppe Giovanni Cagnazzi, che cercò di distoglierlo dal tristo proposito con la promessa di dargli del denaro e la vita sicura dell’esilio (…). Così fu impedito il tradimento e le carte restarono presso la moglie Lucia Pezzuto detta Campiota. Essa conviveva con una sorella del Caputo che aveva per amante il gendarme De Feo. A lui costei confidò l’esistenza di questo carteggio e prepararono insieme la sorpresa. La casa fu invasa (…) fu messa sottosopra, furono divelte financo le pietre del forno e rotti i pavimenti. Lucia Pezzuto era a letto affetta da una gravissima emorragia (…) Per rovistare nel letto fu fatta levare vestita solo della camicia imbrattata di sangue e restò così in piedi rigida impudicamente eroica, tenendo stretto tra le gambe il pacco delle carte compromettenti. Scornati, i gendarmi desistettero dall’indagine”. Se il Caffè Caputo restava valido, ma disperso testimone di vicende risorgimentali, il Gran Caffè è stato un superstite narratore di storia più recente: era in corso l’ultimo conflitto mondiale quando gli americani giunti a Manduria requisirono questo bar per confezionare gelati che servivano per le mense ufficiali e per i militari del campo di aviazione. Durante i sette – otto mesi di requisizione, il gelato veniva prodotto ogni giorno e in ogni stagione secondo i quantitativi indicati dagli stessi americani, che fornivano anche gli ottimi e necessari ingredienti. In questo periodo al Gran Caffè veniva servito solo il gelato e nient’altro. Ma quando cominciò a funzionare per conto del proprietario, si riusciva a vendere anche del vino e i militari che frequentavano il Caffè spesso si ubriacavano causando furenti risse. È noto che gli americani preferivano il gelato al cioccolato, alla crema e al gusto d’ananas.
Bibliografia: Walter Pasanisi. Liberamente – Quindicinale di Informazione, Attualità e Cultura. Anno IV. N.9. Cosimo Palumbo. “I manduriani del ’48. M. Greco. Manduria nel risorgimento (1793-1860). Tals And Memories 1943-1945 a cura di A. Pasanisi – Aldo Pezzarossa.