La casetta rurale (casodda).

Intorno agli anni Quaranta del secolo scorso, usciva di scena colui che, in silenzio, parlava con le pietre, dando loro vita e cedendo il posto ai più moderni e attrezzati muratori, impegnati a costruire le prime casette coloniche destinate al ricovero di attrezzi usati nei campi o per la lavorazione dei prodotti agricoli.

Nell’ultimo cinquantennio è avvenuto un rinnovamento edilizio generale, che ha sostituito molti degli antichi trulli con case in muratura simili, nella struttura, a quelle dei centri abitati, anche se spesso anch’esse erano monolocali, simili ai trulli. Queste casette rurali, casodda o casulari, erano del tutto prive di servizi igienici interni e, a volte, persino esterni; vi poteva essere, al massimo, una fossa (fòggia) scavata nel terreno, a volte “isolata” da un tendaggio o da un muretto di pietre. Questo umile complesso era chiamato lu cumuni (letteralmente “il comune”, per indicare il “luogo comune”) proprio per la mancanza di intimità che lo caratterizzava.

Quella misera casupola spesso includeva una piccola cisterna per la raccolta dell’acqua piovana ed era destinata alla dimora notturna dell’arauru (il capo aia), oltreché a fungere da luogo sicuro per chi volesse fumare un sigaro senza il rischio di provocare incendi.

Oggi, ci si può imbattere in una di queste costruzioni originali. Le loro tracce sopravvivono nella cultura popolare e nei racconti di un tempo che fu, in cui ogni pietra aveva una storia e ogni angolo, un significato, lasciando un’eredità di semplicità e ingegno che ancora ispira.

Bibliografia: Quaderno del Ventennale – Liceo Scientifico Statale “G.GALILEI” – Manduria- 1972-1992. A. Dimitri, Manduria non solo storia…. Provveduto Editore. A. Dimitri, Trulli e Muri a Secco tra Manduria, Maruggio e Torricella. A. S. Mancino, Quaderni Archeo N.2, marzo 1997.