Il ‘pathos’ della Passione, Morte e Resurrezione di Cristo, espresso solennemente nella liturgia ecclesiastica della Settimana Santa, trova sfogo emozionale in alcune specifiche azioni rituali poste in essere nell’orizzonte culturale tradizionale. In questo tempo sospeso tra Cielo e Terra, si assiste, infatti, a un singolare sincretismo tra aspetti e momenti della liturgia ufficiale e talune modalità rituali ben radicate a livello popolare, alcune delle quali perfino trasversali rispetto a quelle proposte dalla Chiesa Cattolica.
«Questi innesti di fede e di superstizione danno al Cristianesimo uno spessore culturale che va oltre i due millenni dell’era sua per essere, così, nel tempo dell’uomo ed in tutti gli uomini» (Rosario Jurlaro, La Festa Cresta, Longo 1983)
La festività delle Palme fu introdotta a Gerusalemme già prima del IV secolo, fino a giungere in Occidente e a Roma nel XI secolo. Attualmente è celebrata da cattolici, ortodossi e protestanti.
Essa vuole essere la rievocazione dell’entrata trionfale di Gesù a Gerusalemme, dove la folla, accorsa numerosa per l’arrivo del Messia, stese a terra mantelli e procurò fronde di alberi e di palma (abbondanti nella regione), agitandole festosamente e rendendo onore a Gesù sulle note del canto “Osanna al figlio di Davide! Benedetto colui che viene nel nome del Signore! Osanna nell’alto dei cieli!”. L’episodio rimanda ad un’antica tradizione legata alla ricorrenza ebraica di Sukkot, ovvero la “festa delle capanne”. In tale ricorrenza i fedeli andavano in pellegrinaggio al tempio di Gerusalemme, portando in omaggio un mazzetto intrecciato di palme (simbolo di pace), di mirto (simbolo di preghiera) e di salice (simbolo di silenzio), legati insieme da un filo di erba, invocando la salvezza con canti e preghiere.
Nella tradizione cristiana, la liturgia della Domenica delle Palme prevede il rito della benedizione del ramoscello di palma o di ulivo da parte del sacerdote, generalmente in un luogo fuori della chiesa, dove la folla di fedeli, pregando e agitando i ramoscelli appena benedetti, vi giunge processionalmente. Qui si procede alla lettura della Passione di Gesù secondo Giovanni.
Palma o ramo di ulivo? — Nelle scritture non si parla di rami di ulivo: il racconto dell’ingresso di Cristo a Gerusalemme è presente in tutti e quattro i Vangeli, solo che in quelli di Matteo e Marco compaiono rami di alberi o fronde prese dai campi, Luca omette il riferimento a qualunque tipo di pianta, ed è solo nel Vangelo di Giovanni che troviamo precisa menzione della palma. Verosimilmente i rami di ulivo sono stati introdotti dalla tradizione popolare a causa della scarsità di piante di palma, specialmente in Italia.
Storicamente, entrambe le piante ricoprono un ruolo importante nella simbologia tradizionale dei vari popoli. Limitatamente alla simbologia cristiana, la palma divenne nel tempo per i Cristiani il simbolo del martirio, della spiritualità e dell’immortalità: ciò in riferimento al fatto che la palma produce un’infiorescenza quando sembra ormai morta (esattamente come accade nel martirio, dove la ricompensa sarà il Paradiso). La stessa simbologia è sottesa all’entrata di Gesù in Gerusalemme, perché viene prefigurata la sua Resurrezione dopo la morte.
Anche la simbologia dell’ulivo si presenta ricca e ben attestata. La più antica è quella presente nell’Antico Testamento, riferita all’episodio del diluvio universale, quando una colomba portò a Noè un ramoscello d’ulivo: duplice valenza in questo caso, simbolo della rigenerazione (dopo il diluvio la terra tornava alla vita) e simbolo di pace (la riconciliazione fra cielo e terra, fra Dio e gli uomini). Nel Nuovo Testamento troviamo l’Orto degli Ulivi, dove Gesù trascorse le ultime ore prima della Passione. Un ulteriore motivo per cui l’ulivo è considerata una pianta sacra è l’olio che si ricava dal suo frutto: da qui il Crisma, usato nelle liturgie cristiane dal Battesimo all’Unzione degli Infermi, dalla Cresima alla Consacrazione dei nuovi sacerdoti. Lo stesso nome Cristo significa “unto”.
Da Gerusalemme a Manduria! Anticamente, a Manduria è attestato unicamente il ramo d’ulivo per la benedizione della Domenica delle Palme: «li ramoscelli ti ulivu, quedda era la Parma» (G.A.). Così il sabato pomeriggio, allora come oggi, i contadini si recano nei propri uliveti a fare i sobbracaddi (germogli nati spontaneamente sui rami più grossi) da benedire la mattina seguente. Essi pongono molta cura nello scegliere i rami, quelli meno nodosi, più aperti «li šteli belli, tretti tretti facìunu» e soprattutto con abbondante infiorescenza (antrata), garanzia di futuro raccolto, perché i contadini, oltre alla benedizione apprezzano anche i commenti e i presagi che i colleghi traggono alla vista dei preziosi rami. I sobbracaddi vengono poi legati fra loro in numero congruo ai terreni posseduti, modellati a punta nella parte inferiore, pronti per essere conficcati nel terreno, una volta benedetti.
«Parma sobbra Sannai, Pasca è rriata», “Quando la palma è sull’Osanna, Pasqua è arrivata”. Possiamo definire l’Osanna un monumento simbolico di natura sacra. Secondo la tradizione, le colonne dell’Osanna sarebbero dei Menhir cristianizzati: essi si diffusero in età tardo-romana (IV-VI sec. d.C.), collegati a culti precristiani relativi a rituali di fecondità della terra. Dopo il Concilio di Trento (1564), queste pietrefitte vennero sormontate da Croci e si consolidò la consuetudine di benedire sotto di esse i ramoscelli di ulivo la Domenica delle Palme.
Anche a Manduria, in passato, la processione della Domenica delle Palme si concludeva ai piedi del monumento dell’Osanna, dopo che il sacerdote aveva benedetto l’intera città e i campi in lontananza, propiziando in tal modo un proficuo raccolto.
L’Osanna di Manduria fu eretta nei pressi dell’attuale villa comunale, in forma di semplice colonna; in seguito al terremoto del 1743, in segno di riconoscenza per non aver subìto il paese eccessivi danni, fu ricostruita e, in quell’occasione, vi si collocò in cima una statua dell’Immacolata. L’Osanna mandurina era alta circa tredici metri ed era formata da una snella colonna cilindrica sormontata dal capitello, mentre la statua dell’Immacolata era posta su una base cubica.
Nel progettare il Giardino Pubblico (1882), la Colonna si presentò, verosimilmente, come un ostacolo all’esecuzione dei lavori. Così il Tarentini in Manduria sacra: «In una notte di Maggio del 1882 l’Osanna sparì: per poco non portarono via anche il suolo che lo reggeva. La statuetta dell’Immacolata fu trovata sul parapetto del Calvario». Del monumento dell’Osanna è rimasta menzione nell’espressione popolare Palma sobbra Sannai, Pasca è rriata (= “Quando la palma è sull’Osanna, Pasqua è arrivata).
A differenza di quello di Manduria, l’Osanna di Uggiano Montefusco (frazione di Manduria), invece, ha conservato nel tempo il tratto caratteristico di colonna votiva, di simbolo sacro, nonché luogo di fede autentica e partecipata. Posto strategicamente all’incrocio di antiche strade che delimitavano lo spazio abitato dalla campagna, il monumento dell’Osanna, nell’accogliere il ramo d’ulivo benedetto, assolve a una duplice funzione: protettiva dello spazio socializzato e propiziatoria delle campagne circostanti.
Il mondo contadino tradizionale ha reso la benedizione del ramo d’ulivo un momento fondamentale per la protezione del proprio spazio vissuto. Il ramo benedetto, con valore apotropaico, modulava strategicamente la sua protezione su vari livelli: in casa, dove veniva appeso sulla parete vicino al letto (accanto al crocefisso) oppure sul terrazzo; poteva essere offerto come simbolo di pace ai vicini e conoscenti con cui non si era in buoni rapporti o a coloro che ne erano sprovvisti. Ma, soprattutto, veniva portato nei campi, per proteggere e propiziare il raccolto del grano o della vite. Qui ci si inginocchiava a pregare: «Signore, come è stata benedetta questa oliva così fammi crescere il mio cranone e benedicimi il grano» (la recitazione di tale formula rimanda al principio della Magia Imitativa, basata sul fatto che il simile produce il simile: il principio di benedizione insito nella Palma estende la benedizione stessa alle piante, a garanzia di un abbondante futuro raccolto).
Era invece inutile portare il ramo benedetto negli uliveti, essendo l’ulivo già benedetto dal Signore. Nella tradizione orale si narra della benevolenza dell’albero di ulivo (a differenza di altri alberi) nei confronti di Maria, offrendole riparo e protezione in una cavità del tronco durante il faticoso viaggio per sfuggire al re Erode ed arrivare incolumi in Egitto: «si ticìa prima, antica è la storia no ssàcciu com’era, ca la Matonna quannu camminara ca s’era rifugiari a na parti e sciunu a n’àrvulu cu si ficca sotta: — “albero di fica apriti ca a trasìri la Matre Maria” e no s’apprìu, sciu a llu piru e mancu, sciu a ll’albero ti l’aulìa, alberi cu li tronchi dritti, e dici (…) ca l’àrvulu s’apprìu lu troncu. E ncerti fiati sontu propria tutti apierti (…) ci šta cchjoi ti ricùpiri nu picca» (G.A.).
In passato, il ramo d’ulivo benedetto (ormai elemento magico-religioso da utilizzare con cura e devozione), veniva conservato fino alla Pasqua successiva o, più significativamente, fino al giorno della SS. Trinità, festività con la quale ha termine il periodo della Pasqua. Esso non doveva assolutamente essere buttato via, bensì bruciato nel camino di casa insieme ai salmenti. La cenere ottenuta veniva portata nei campi e sparsa per propiziare il raccolto.
Per approfondimenti, Anna Stella Mancino, ‘La Settimana Santa a Manduria’ in QuaderniArcheo, N. 9, maggio 2018 (Le lettere poste fra parentesi nell’articolo sono le iniziali del nome e cognome delle fonti intervistate).
In foto, un confratello della Confraternita della Madonna del Rosario di Uggiano Montefusco (frazione di Manduria), nell’atto di issare il ramo d’ulivo benedetto sulla croce in ferro che sormonta l’Osanna, alla presenza di alcuni fedeli che assistono raccolti in preghiera.