La Manduria della nobiltà e degli stemmi.

Araldo della famiglia Pasanisi Dragonetti.

Nella Manduria di qualche secolo fa vivevano alcune famiglie benestanti. Gli appartenenti a tale ceto venivano indicati dal popolino come “nobili”, appellati a seconda del sesso con la particella “don” o “donna” (dall’antico “donno”, signore, titolo d’onore ed ecclesiastico). La cultura popolare, col tempo, ha poi alimentato l’equivoca convinzione che i nobili dell’epoca appartenessero realmente a quel rango, tanto che alcuni manduriani credono tuttora di discendere da chissà quale conte o duca, immaginando questi illustri personaggi circondati da ricchezze, lusso e servitù. Ma ahimè, c’è da ricredersi. Infatti, in una nota, l’avvocato Amilcare Foscarini racconta che verso l’inizio del 1800 furono abolite le feudalità e tutti i vantaggi nobiliari. Il governo del Re, però, stilò un elenco di tutte le famiglie riconosciute nobili e titolari del Regno d’Italia. Tale provvedimento fu approvato con Regio Decreto del 1° gennaio 1900 e altre famiglie dovettero fare istanza per il loro riconoscimento. Fu pertanto necessario notificare quell’elenco, poiché a quei tempi molti, con sotterfugi, si facevano dichiarare “nobili”.

Palazzo Pasanisi Dragonetti.

A Manduria, le famiglie che potevano vantare questo titolo erano veramente poche; tra l’altro, queste non vedevano le loro origini nella nostra città, ma qui vi possedevano solo alcuni feudi. Ne sono un esempio i marchesi Imperiali, i Bonifacio e i De Raho. Certo è che qualcuno potrà solo consolarsi sapendo di discendere da qualche famiglia manduriana, in realtà molto fortunata, in quanto ricca, ma che con gli anni ha incautamente dilapidato tali averi, mantenendo sempre vivo il ricordo dell’appartenenza a quella classe agiata di cui un tempo faceva parte. Se di sangue blu da noi non ve ne è traccia, ciò non ha impedito a pochi manduriani di sognare e desiderare di essere “nobili”. Forse è in virtù di questo fantastico sogno che alcuni hanno imitato gli usi e lo sfarzo propri di quei nobili veri. È evidente questo nel fatto che molti “signori” si sono fregiati di stemmi e simboli nobiliari, alcuni appartenuti a feudatari dell’epoca, ponendo questi meravigliosi vessilli sui più importanti palazzi manduriani a simboleggiare la distinta provenienza delle famiglie proprietarie. Tra essi vi è l’arme appartenuta alla famiglia Pasanisi Dragonetti, “inquadrata da una croce d’argento: nel I° e nel IV* riquadro colorato d’azzurro, un leone rampante d’oro; nel 2° e 3° riquadro d’azzurro, tre anelli intrecciati d’argento”, visibile tale scudo sul portale dell’omonimo palazzo. Ma il blasone che di certo rappresenta uno dei pochi simboli di vera effige nobiliare presenti a Manduria è senz’altro quello appartenente alla famiglia degli Imperiali. Alla fine dell’undicesimo secolo, al capostipite di questa famiglia (originaria di Genova) fu concesso il privilegio di usare nel proprio stemma l’aquila dell’Impero. L’arma della casata Imperiali è così composta: “nel 1° riquadro, l’aquila con in capo una corona; nel 2° riquadro uno scaccato d’oro di dodici pezzi colorato d’azzurro: gli scacchi d’oro caricati ciascuno da una coda d’ermellino di color nero”. Questo stemma è visibile sugli spigoli del famoso palazzo della città, anche se ve n’era uno posto al centro dell’arco d’ingresso della facciata, che però è andato distrutto. Altri blasoni si possono scorgere e ammirare passeggiando per le vie di Manduria, alcuni nascosti in un vicoletto, altri non molto visibili perché ormai erosi dal tempo, ma tutti testimoniano l’eleganza e la raffinatezza che adornava palazzi noti e meno noti. Questi stemmi rappresentano l’espressione più caratteristica ed evidente della cultura manduriana, non scomparsa col tempo.

Walter Pasanisi