La tradizione del pane fatto in casa a Manduria.

A Manduria, in passato, nella dispensa di ogni casa c’era sempre una scorta di lievito speciale, conservato in una scodella e ricoperto con un sottile strato d’olio. Lu luátu, una porzione di pasta fatta inacidire, veniva conservato pronto per la successiva panificazione. La farina, invece, veniva custodita in un luogo asciutto per proteggerla dall’attacco di acari e tarli. Lu luátu era indispensabile per preparare il pane, che si faceva in casa ogni sei o otto giorni, un evento che rappresentava una vera gioia per i bambini. Le mamme, trasformandosi in abili fornaie (furnare), si dedicavano alla preparazione del pane con grande maestria.

La prima operazione consisteva nella cernita della farina macinata, effettuata con uno staccio (chiamato localmente sitazzu). In questa fase, si separava la farina dalla crusca grossolana (caníja); se si desiderava ottenere una farina finissima, si eliminava anche il cruèssu (il cruschello). Se invece si preferiva la farina integrale, si lasciava tutto il contenuto intatto.

La farina veniva poi impastata con acqua, lievito (lu luátu) e sale. Sull’impasto, per tradizione, si incideva una croce e si pronunciavano le parole: «Gesù e Maria sia qua». L’intero impasto veniva quindi posto dentro la mattra-banca, una madia con sponde alte e un piano superiore sollevabile.

Le mamme, utilizzando una parte dell’impasto – di solito l’ultima forma di pane – preparavano lu luátu per la panificazione successiva. Con il restante impasto si creavano diverse forme: un panetto a forma di pupazzo (nu pupu) per i bambini, oppure una puddíca, una focaccia farcita con olive e uva passa (li pássuli), o ancora una pizzetta con pomodoro e formaggio.

La prima lavorazione dell’impasto si svolgeva solitamente la sera. Si impastavano circa due chili di farina (picciddati) per far crescere il lievito (si criscia lu luátu). Dopo il riposo notturno, la mattina successiva si procedeva con la vera lavorazione: si aggiungeva altra farina e si impastava con energia fino a far comparire bolle sulla superficie della pasta.

A quel punto, l’impasto veniva suddiviso in più pezzi (panetti), che si disponevano ordinatamente su un tavoliere e si coprivano con un panno pulito e due coperte di lana per mantenerli al caldo.

Quando i panetti erano ben lievitati, si potevano infornare. Il fornaio, avvisato il giorno prima, passava casa per casa a ritirare i panetti. La cottura avveniva in tre turni: il primo al mattino presto, il secondo subito dopo, e il terzo nel pomeriggio.

A cottura ultimata, il pane fragrante e ancora caldo veniva riconsegnato dal fornaio direttamente alle famiglie, portando con sé il profumo e il sapore di una tradizione antica e condivisa.

Il ritorno del pane caldo, avvolto nel suo aroma irresistibile, era un momento di festa per le famiglie: un richiamo alle radici, alla semplicità di una vita scandita da gesti antichi e dall’amore per le cose genuine.

Bibliografia: Varie testimonianze orali di massaie e fornai.