Una vera propria tradizione del cenone di magro della vigilia non c’è in Manduria per quanto è ritenuto necessario che in detto pranzo vi siano da mangiare nove piatti (li noi cosi). Niente fervido mercato di pesce, niente capitone, solo una modesta, maggiore vivacità in piazza per l’acquisto della verdura e dei molluschi tarentini (cozzi gnori, cozzi pilosi, cozzi ostrichi, cozzi ti San Gaicomo) presentati ai clienti con il caratteristico grido: “Tarantu friscu”: piatti di rito, propri di un paese povero, la verdura cotta in olio, specialmente li rabbicauli spritti o li mugnuli, la tria cu li cozzi e li pèttuli.
Se metti un ceppo nel camino, Natale è vicino”. Provveduto Editore. Edizione pubblimagine.
Un altro momento rituale legato alla vigilia di Natale era il digiuno (rito purificatorio, praticato anche nelle società agrarie), che si protraeva fino al tramonto: « A llu punìri ti lu soli poi, si riuniunu li famiglie e faciumu li noi cosi, per tradizioni sempri ti la Matonna prima cu našci Gesù bambinu» (M.A.) Tali pietanze potevano comprendere: pàssuli (uva passa ottenuta facendo scottare i grappoli d’uva nella lesciva e appendendoli poi ad una parete costatemente assolata per l’essiccamento); tría (sorta di tagliatelle fatte in casa) con il baccalà o con le cozze nere; múgnuli ssittati (broccoli lessati,sistemati nel tegame di terracotta, cièstu, e conditi con olio, pepe e formaggio); pèttuli (frittelle di farina di grano a forma di piccole noci, messe a friggere in abbondante olio, e successivamente intinte nel miele o in uno sciroppo ottenuto dai fichi (cuèttu ti fichi); purcidduzzi (piccoli gnocchi di impasto dolce che venivano fritti, se impastati con l’olio, oppure cotti nel forno, se impastati con le uova); cardi rracanati (cardi lessati, spolverati di formaggio e pangrattato e passati nel forno); cartiddati (sfogliatine, ottenute con lo stesso impasto dei purcidduzzi ma di forma più larga), e poi capitone, noci, fichi secchi, sedano, finocchio, ecc. Terminato il cenone, solitamente, si lasciava la tavola imbandita, nella convinzione che durante la notte le anime angeliche sarebbero scese sulla terra a cibarsi. Coloro che decidevano di rimanere a casa, dopo il cenone, erano soliti giocare a tombola o a carte (…)
Liberamente – Quindicinale di Informazione, Attualità e Cultura .-Anno XIII – Nr. 22 (inserto contrappunti articolo di Anna Stella Mancino).
La vigilia di Natale concludeva la Novena a Gesù Bambino, iniziata il 16 dicembre, con un pranzo rigorosamente di “magro” e comprendente un numero fisso di nove pietanze, li noi cosi. A seconda delle possibilità si gustavano làiana o tría (dall’arabo itrja), fettuccine di farina di grano più o meno larghe fatte in casa, con baccalà, orecchiette con le rape e pane grattugiato fritto, tubetti con le cozze, baccalà in pastella o dorato e fritto, pesce arrostito, cozze gratinate o fritte, capitone (sostiuibile dal meno costoso baccalà), múgnuli, cavolfiori, o rape stufate, funghi arrostiti, specialmente mucchialuri, lampascioni fritti a rosetta o con la pastella, arrostiti alla brace o sotto la cenere, pomodori invernili arrostiti, frutti di mare: cozze nere, pelose, S. Giacomo, datteri, noci reali, ostriche, cannulicchi. Sempre presenti erano le pettole e formaggi e latticini: ricotta fresca, ricotta asçànti, pecorino e formaggio puntu. Per sobbratàula: lupini, sedano, finocchio, o cardi calàti, i gobbi, e come frutta secca: noci, castagne del prete, castagne, mandorle e ceci arrostiti. Alla frutta fresca: arance, mandarini, corbezzoli, fichi natalègni si aggiungeva quella conservata, generalmente appesa, o fatta maturare sui cannicci nella paglia: fichi d’India, melagrane, melecotogne, meloni invernili, e nespole, pere, sorbe, giuggiole e mortelle anche infornate, carrube dette cioccolata dei poveri, fichi ccucchiàti.
Manduria … terra di vini, di sole, di mare e di antichi monumenti”, guida illustrata 2003, Pubblimmagine Pubblicità –Associazione Culturale “La Porticella”.