Il termine ‘cimitero’ deriva etimologicamente dal latino tardo cimiteriu, a sua volta mutuato dal greco koimeterion, letteralmente ‘luogo dove si va a dormire’, da koimao ‘io faccio addormentare’: un’accezione cristiana, a significare che quanti vi sono deposti attendono il risveglio eterno postulato dalla fede cristiana.
Il cimitero luogo della Storia: religiosa, sociale, politica, architettonica. Il cimitero luogo dell’Antropologia: la lettura di alcuni elementi presenti in tale luogo è correlata ai diversi modi in cui i viventi hanno sviluppato, nel tempo e nello spazio, il proprio rapporto con i defunti.
Sulla scia del decreto napoleonico del 12 giugno 1804 che regolamentò le norme sui cimiteri, collocandoli al di fuori dei centri abitati, Ferdinando I di Borbone Re delle Due Sicilie, con decreto del 11 marzo del 1817, ordinò la costruzione di pubblici camposanti in ogni Comune del Regno al di fuori dell’abitato, a tutela della salute pubblica e nel rispetto del sacro culto verso i defunti.
A tali esigenze, indubbiamente legittime, erano sottese altresì preoccupazioni di altra natura. In primo luogo, la collocazione extra-urbana porta a configurare il cimitero come uno spazio chiuso entro cui contenere la carica negativa e sconvolgente che sempre accompagna il defunto. Tale chiusura tuttavia, non è totale. Infatti la naturale espansione urbanistica tende a modificare le distanze, sia reali che percepite, attenuando il voluto isolamento dello spazio cimiteriale, sempre più prossimo allo spazio dei vivi, come dire una citta ‘a portata di cimitero’. Inoltre, nella preoccupazione (presente fin dai primi atti legislativi) di ‘giusta distanza dal centro abitato’ a proposito del sito cimiteriale, si intravede, dissimulata da esigenze di ordine pubblico e sanitario, l’espressione antropologica di un tabù: liberarsi il prima possibile della ‘presenza’ del defunto.
Nonostante il carattere tassativo della legge del 1817, la città di Manduria si provvide di un Camposanto dopo più di due decenni dalla sua emanazione. Il più antico luogo di sepoltura denominato Camposanto venne aperto a Manduria il 6 ottobre 1839, in un’area concessa dai padri Cappuccini, a Est della loro chiesa. Attigua al cimitero era la cappella di SS. Croce, sul cui muro esterno occidentale il Can. D. Pasquale Schiavoni fece scrivere, in occasione dell’apertura del Camposanto, i seguenti versi: «O tu che passi baldanzoso tanto, / Pensa che un dì mi giacerai qui accanto. / Quanto miri, viator, pensa che è un nulla, / E dell’Eternità la tomba è culla. / Tutto morte calpesta e cuopre obblio; / Non resta alfin che religione e Iddio. / Rota morte la falce in tutte l’ore, / e non morendo ancor sempre si muore. / Valido, vago e grande il fui, fui pur io / Ed ora … ed or ciò ch’è di me sa Iddio».
L’annuncio dell’apertura del Camposanto fu dato alla cittadinanza tramite manifesto pubblico affisso nella piazza del paese il 2 ottobre 1839 (documento 1): era fatto obbligo della sepoltura nel camposanto per tutti indistintamente, eccetto che per i Vescovi (cui era permessa la tumulazione nelle chiese delle rispettive Diocesi) e per le Religiose di clausura che avessero professato i voti solenni (cui era concessa la tumulazione nelle chiese del rispettivo chiostro). Un’ulteriore eccezione era costituita dai bambini deceduti prima di aver ricevuto il sacramento del Battesimo, da coloro che si erano resi indegni di sepoltura ecclesiastica e dai non cattolici: nel 1861 si procedette alla costruzione di nuove sepolture nei terreni attigui da assegnare a queste particolari categorie di defunti. Un successivo ampliamento del Camposanto avvenne nel 1869 essendo insufficienti le sepolture esistenti (tale decisione fu presa dopo aver abbandonato il progetto per la costruzione di un nuovo cimitero in contrada ‘Terragna’, il primo pensato per servire oltre il territorio comunale anche la borgata di Uggiano Montefusco). Il progetto di ampliamento fu redatto dall’ingegnere francavillese Luigi Fumagalli e prevedeva, oltre a 18 nuove sepolture, l’elevazione del prospetto di ingresso (documento 2); i lavori, affidati a Nicola Pagliarulo, cominciarono nell’agosto dello stesso anno per una spesa complessiva di lire 4.348,80. Le vicende storiche dei decenni successivi portarono alla chiusura definitiva del Camposanto in contrada Cappuccini nel 1892.
Nel 1866, a causa della prima ondata di epidemia colerica che interessò la città, essendo giunto a saturazione il Camposanto cittadino, si ricorse al seppellimento in contrada Pigna, presso la strada vecchia di Avetrana. Tale sito fu nuovamente utilizzato nel 1886, quando una nuova epidemia colerica devastò la città (l’epidemia durò circa due mesi, si propagò dapprima nella borgata di Uggiano a partire dal 19 giugno, con una mortalità dell’89% dei contagiati, giungendo in città dieci giorni dopo e fino al 15 agosto). Il cimitero in località Pigna era posto a circa quattro chilometri dall’abitato, in direzione est, e misurava are 23.98. Successivamente venne acquistato un terreno adiacente, poiché era volontà del Comune (come emerge dalla relazione fatta il 5 settembre 1886 da Orazio Schiavoni al Sindaco Pietro De Marco) chiudere il terreno con un muro di cinta ed erigere una piccola cappella e una stanza per il custode. Si giunse fino all’ottenimento dell’autorizzazione sovrana all’acquisto, giunta con Regio Decreto del 23 giugno 1887 (documento 3). Nonostante le lodevoli intenzioni, l’ingente spesa (Lire 7.500) preventivata dall’ingegnere Ignazio Bernardini, che aveva redatto il progetto (documento 4), indusse gli amministratori comunali a dilazionare nel tempo il complesso dei lavori, limitandoli nell’immediato alla elevazione del solo muro di cinta (Lire 3.736,41). L’ultima notizia riguardante il cimitero dei colerosi è una relazione del 10 ottobre 1888 di Ignazio Bernardini al Sindaco. Attualmente l’area si presenta in uno stato di completo degrado: i resti del muro di cinta sono visibili soltanto in alcuni punti (un discreto tratto sul lato sud, qualche linea di tufi sugli altri lati), mentre all’interno il suolo si presenta invaso da rifiuti di ogni genere.
Il 21 luglio 1892 venne aperto quello che è l’attuale cimitero cittadino, intitolato ai protettori della città di Manduria e della borgata di Uggiano Montefusco (S. Gregorio e S. Nicolò di Mira). La scelta del sito fu fortemente dibattuta. Con Deliberazione dei primi del 1883, il Consiglio Comunale aveva proposto tre località: la prima era situata quasi accanto all’antico cimitero dei Cappuccini; la seconda (contrada Lezza) era ad ovest del paese lungo la via provinciale Manduria-Sava; la terza era situata nei pressi della vecchia via vicinale Manduria-Uggiano Montefusco, in direzione Sud-est.
La Commissione Provinciale incaricata di valutare e relazionare sui siti, già nominata l’anno precedente con Decreto Prefettizio del 18 settembre, e composta dal dottor Giuseppe Vigneri (membro del Consiglio Provinciale di Sanità), dal dottor Cosimo De Giorgi e dall’ingegner Gaetano Marschiczek, nella Relazione seguita all’ispezione delle tre località (25 luglio 1883, a firma del De Giorgi – documento 1), si pronunciò a favore della seconda. In particolare, il primo sito fu escluso data la vicinanza al pozzo pubblico; fra le altre due località, la scelta cadde su contrada Lezza, perché pressoché equidistante dai due centri di Manduria e Uggiano, perché situata su una strada provinciale e per la natura geologica del terreno.
Risolto il problema del sito (riconfermato dopo un ricorso presentato al Prefetto della Provincia), si procedette all’approvazione con Decreto Prefettizio del progetto d’arte redatto dall’ingegnere comunale Ferdinando De Grassi fin dal 1883. Il progetto prevedeva la costruzione del nuovo cimitero nella contrada Lezza, nei terreni di proprietà di Giovanni Pasanisi, Giovanni Schiavoni, Annibale Arnò e della Chiesa parrocchiale di Uggiano Montefusco, per una spesa preventiva lire 15.200, oltre a lire 2.509,57 per l’acquisto del terreno, come da piano topografico redatto dal perito Giuseppe Tarentini. Fu il muratore Vincenzo Pagliarulo ad edificare materialmente l’opera, in base al progetto di ampliamento eseguito dall’ingegnere leccese Gaetano Marschiczek, progetto che nel 1888 era approvato dall’ingegnere capo del Genio Civile di Lecce.
Naturalmente da allora il cimitero comunale ha subìto diversi ampliamenti, tanto da indurre i manduriani a indicare come ‘cimitero vecchio’ la costruzione originaria (pur essa ampliata), come ‘cimitero nuovo’ gli ampliamenti intervenuti nella seconda metà del ‘900. Il primo ampliamento del ‘cimitero vecchio’ (su progetto redatto da Marschiczek) avvenne negli anni 1901-1911. A Marschiczek inoltre, si deve l’ampliamento dell’edificio d’ingresso al cimitero, comprendente, fra l’altro, la costruzione della casa del custode, nonché la sistemazione del prospetto generale dell’ingresso monumentale. Si omettono gli ampliamenti intervenuti successivamente (dagli anni Ottanta al 1998 e fino a tempi più recenti) perché di facile verificabilità.
Significativa e suscettibile di alcune considerazioni è l’articolazione interna del cimitero: transitando in un corridoio centrale coperto a volta si accede in un viale alberato (della larghezza di quattro metri) che, in due punti successivi si allarga formando rotonde da cui si dipartono altri viali perpendicolari ad esso, i quali si raccordano con quelli che costeggiano il perimetro interno del recinto, formando delle piazzole semicircolari. Il reticolato dei viali suddivide il terreno in sei campi di inumazione dove la tipologia delle tombe (termine generico per indicare qualsiasi tipo di sepoltura: cappella, edicola, stele) è assai varia. In particolare, le cappelle sono costruzioni somiglianti, nella forma architettonica, a delle chiese, di cui hanno tutti gli elementi decorativi (colonne, capitello, timpano, rosone) naturalmente di dimensioni ridotte. Le cappelle più antiche sono state erette, fin dall’apertura del cimitero, lungo il viale principale, lateralmente alle due rotonde centrali e nell’area dei semicerchi laterali. Il resto delle cappelle (di varia epoca e fattura) è edificato lateralmente agli altri viali.
La connotazione socio-economica di questa disposizione è riflessa nell’art. 33 del Capo VI ‘Sepolture particolari’ del Regolamento di Polizia Mortuaria del 1891, il quale dispone che «il prezzo per ciascun metro quadrato delle tombe perpetue da erigersi lungo il viale principale del cimitero, val dire quello perpendicolare al prospetto, e per quelle che sorgeranno lateralmente alla rotonda centrale e nell’aria dei semicerchi laterali sarà di Lire 20. Per le altre da erigersi lateralmente a qualunque altro viale sarà di lire 10». Riconducibile all’aspetto sopra menzionato è un ricorso inoltrato nel 1943 al Podestà del Comune di Manduria, in cui il ricorrente chiede che venga annullata la concessione fatta del suolo posto davanti alla tomba di sua proprietà; infatti «lo istante si sobbarcò alla maggiore spesa della sua tomba nel sito ov’è costruita, proprio perché risultava più vicina all’ingresso del Cimitero e perché avrebbe avuto la tomba sul viale rettifilo, in evidenza; altrimenti scegliendo un posto più lontano e più nascosto avrebbe speso anche meno della metà».
E così proprio nel cimitero, luogo di polverizzazione delle umane certezze, oltre alle tombe si erigono stratificazioni sociali, della società dei morti naturalmente: il luogo comune della morte livellatrice rimane valido solo nell’immaginario collettivo, poiché di fatto esso viene smentito da elementi quali l’agognata visibilità lungo il viale principale ad esempio, o l’imponenza architettonica e la diversa fattura delle cappelle, fissando ognuna di esse nella pietra uno status per l’eternità.
BIBLIOGRAFIA
MANCINO Anna M. Stella, Le città speciali in QuaderniArcheo NN. 6-7, Barbieri, Manduria maggio 2002.

Archivio comunale di Manduria (ACM)








