
Pajarone costruito in pietra.
Nei campi del nostro territorio, fino a qualche decennio fa, si potevano ancora scorgere rari ricoveri temporanei, i cosiddetti pajaruni: alcuni costruiti in pietra e altri realizzati interamente con materiali vegetali. Questi ultimi ripari servivano da rifugio per i contadini che lavoravano nelle terre prive di sassi, nelle paludi, nei canneti e nelle saline lungo la costa. La penisola messapica si estende su un terreno brullo, ricoperto di pietre, e qua e là emergono antiche costruzioni, semplici capanne.
Nella zona costiera di Manduria, prima della metà del Novecento, il territorio era malsano a causa delle vaste paludi, e si scorgeva qualche pajarone o pajara. I pajaroni erano costruiti per soddisfare particolari necessità umane, quali la fertilità del suolo, la possibilità di accedere a fonti d’acqua potabile e la disponibilità di materiali per la costruzione. Anche il clima mediterraneo favoriva lo svolgimento di diverse attività quotidiane all’aperto, e ogni abitazione disponeva di uno spazio scoperto e delimitato, il cosiddetto “non costruito,” spesso più importante della parte edificata. Vicino alle costruzioni agricole, nelle masserie e persino nei paesi, vi erano spazi non edificati chiamati curti. In campagna, l’area adiacente alla costruzione permetteva di svolgere attività che non potevano essere eseguite all’interno, come la lavorazione dei fichi. Il pajarone aveva una forma quadrata, o più spesso rettangolare, e veniva utilizzato come dimora estiva, stalla o deposito.
Nelle terre sassose, i pajaruni erano costruiti con una base di pietra a secco e un tetto di assi di legno coperto di paglia. Di queste strutture restano ancora i muri perimetrali alla base. Nei campi privi di pietre, invece, i pajaruni erano realizzati con legno e paglia, spesso ricavati dai culmi di Ammophila arenaria, nota come pilieddu, che veniva falciata sulle dune marittime dove era abbondante.
Per costruire la base in pietra del pagliaio, il contadino scavava il terreno per rimuovere spessi strati di roccia tufacea, frantumandola con una mazzola (un grosso martello) in pezzi abbastanza piccoli da poter essere sollevati a mano, spesso da giovani lavoratori ancora adolescenti.
Queste costruzioni rappresentano un ricordo tangibile delle tradizioni rurali e della vita semplice di un tempo, simboli di un adattamento alla natura circostante e alle risorse disponibili. I pajaruni testimoniano l’ingegno di un passato ormai lontano, che si fondeva con il paesaggio e rispondeva alle esigenze della comunità contadina, creando un legame profondo tra l’uomo e la terra.
Bibliografia: R. Jurlaro, L’utile canna. Congedo Editore. 1975.. P. Bourget – Sensations d’Italie. Parigi 1891. A. Dimitri, Manduria non solo storia… Provveduto Editore. A. Dimitri, Trulli e Muri a Secco tra Manduria, Maruggio e Torricella. Provveduto Editore. Quaderrno del Ventennale 1972-1992- Licelo Scientifico “G. Galilei”. Manduria.