Questo artigiano conosceva l’arte di costruire le cannizze, ossia dei ripiani portatili, molto leggeri, fatti di canne, accostate l’una all’altra con del filo di ferro. Questi attrezzi erano molto diffusi e si usavano soprattutto d’estate per seccarvi i fichi o i pomodori e i peperoni da mettere poi sott’olio. L’inverno si portavano “sopra la pagghijera” e si usavano per mettere le melegrane e le melacotogne, oppure si tenevano ammassati, senza niente. Il mestiere del cannizzaio molto spesso si faceva all’interno delle mura domestiche, se si avevano a disposizione molte canne. La bottega del cannizzaio spesso era il marciapiedi o il suo orto. Dopo che era andato a cercare le canne lungo i canaloni (perché le canne crescevano vicino ai canali d’acqua che prima si trovavano nelle campagne),le sistemava in mazzi di uguale grandezza. C’erano canne sottili e canne grosse, c’erano cannizze piccole e grandi. Pochi erano gli attrezzi da lavoro: un buon coltello, un falcetto per ripulire le canne e del filo di ferro forte per legare una canna con l’altra e un salvatiti fatto di canna. Le canizze si trovavano in tutte le case di una volta e l’estate si mettevano anche sulla strada per seccare i fichi.
“C’erano una volta i mestieri”. Pubblicazione dell’Istituto Tecnico Industriale “Del Prete” di Sava. Anno 2000.