Quando l’acquedotto era un’utopia, pozzi artesiani e cisterne provvedevano alo fabbisogno giornaliero dell’acqua, non solo nelle case, ma anche nelle campagne. Il problema dell’acqua, considerato un bene inestimabile, era quanto mai drammatico nei paesi aridi della Puglia, battuta da lunghi anni di siccità, tanto che spesso la religiosità popolare inscenava processioni penitenziali per impetrare la grazia dell’acqua al santo protettore. Il costruttore di pozzi e cisterne lavorava con altri artigiani esperti: mai si facevano scendere in profondità gli apprendisti, perché non di rado succedevano disgrazie. Importante era la scelta del posto dove scavare. A volte si verificava che anche dopo aver scavato decine di metri, l’acqua non affiorasse. Lo scavo era fatto tutto a mano. Dopo aver delimitato la bocca del pozzo, si procedeva a fare il fosso, puntellando i laterali con tronchi e zappe allo scavo e altri sul piano tiravano con canestri la terra smossa e le pietre divelte. Grande festa si faceva nel momento in cui si “trovava” l’acqua. Poi si procedeva a “foderare” in maniera circolare la parte alta, terrosa del pozzo e praticamente il lavoro era finito. Il costruttore di pozzi lavorava in campagna o in paese, all’aperto. Non aveva una bottega, se non un luogo dove custodire gli attrezzi da lavoro, sino a quando il pozzo o la cisterna (a una o a due bocche, come quelle pubbliche) non erano stati ultimati.
“C’erano una volta i mestieri”. Pubblicazione dell’Istituto Tecnico Industriale “Del Prete” di Sava. Anno 2000.