Quando a Manduria non era ancora arrivato il nobile Primitivo… Le colture alternative di una volta: dal lino al cotone, sino alla seta.

Manduria ha da sempre basato la propria economia principalmente sull’agricoltura. Le nostre terre sono state fiorenti con alcune coltivazioni, che nel tempo sono state soppiantate da altre colture, alcune delle quali sono tutt’oggi ancora presenti sul nostro territorio. Molto diffuse, ad esempio, nei secoli scorsi, erano le coltivazioni di piante tessili, tra cui il lino. Il lino è una pianta con foglie lanceolate e fiori azzurrini, dal cui fusto si ottiene una fibra tessile poi lavorata. Da noi questo prodotto ha avuto la sua massima diffusione intorno alla fine del diciottesimo secolo. Prima di essere utilizzato, il lino veniva macerato nei “piloni” campestri con acqua piovana, oppure nelle acque sorgive del fiume Borraco, tenendolo pressato per circa una settimana sott’acqua con delle grosse pietre, finché non fosse giunto a maturazione e quindi pronto per essere lavorato. Le vasche, nel linguaggio popolare erano chiamate “quatisciaturi” , luogo dove il lino veniva “quatisciatu”, battuto, onde consentire la separazione della guaina superficiale dall’esile fusto mediante una leggera macerazione. I semi della pianta si usavano per impacchi curativi, ottenuti immergendoli nell’acqua fredda, ponendoli poi sul fuoco e rimestandoli fino a ottenere una pasta abbastanza consistente; l’olio estratto dal lino, invece, veniva utilizzato come solvente per colori.

Ancora più diffuse erano (fino al secolo scorso) le piantagioni di cotone. La qualità del cotone che si produceva dalle nostre parti era chiamata “pappo bianco” e “camoscio”. Il frutto che si raccoglieva era racchiuso in una capsula contenente semi oleosi di colore nero, provvisti di una fine lanugine per lo più bianca. La pianta maturava ad Agosto e il terreno ideale per la sua crescita era molto fertile e permeabile. Il cotone, dopo la raccolta, veniva battuto, pulito da ogni impurità, filato e lavorato con strumenti artigianali. Verso la fine del XVI secolo e i primi decenni di quello successivo, si assistette alla scomparsa di un altro prodotto tessile, la seta, e con essa delle piantagioni di gelsi. La varietà di seta che si ricavava dalle nostre parti era generalmente del tipo ad organzino, cioè il filato di seta greggia ottenuto torcendo insieme più fili, o quella del tipo ad apocino, ossia la seta vegetale. Gli agricoltori, per evitare che i bozzoli sugli alberi fossero erosi dai topi o bucati dalle farfalle, procedevano prematuramente alla loro raccolta. Tuttavia, per conservarli a lungo prima di ricavarne la seta, esponevano i bozzoli al sole sulla sabbia, procedimento che spesso si rivelava dannoso, poiché la sabbia penetrava nei bozzoli, riducendo la qualità del tessuto.

Un’altra fibra tessile prodotta in quantità più limitata era la canapa. Si trattava di una pianta erbacea dai fiori piccoli a pannocchia, dal cui fusto macerato si ricavava la canapa greggia, quella pettinata, il capecchio e la stoppa. La fibra tessile ottenuta dalla canapa era molto resistente e veniva utilizzata per la produzione di corde, tele da sacchi, e, dalle varietà più fini, tessuti da abbigliamento. Dai semi della canapa si estraeva l’olio per la produzione di vernici, mentre gli steli, detti canapuli, venivano utilizzati nell’industria della carta.

Tra le colture del passato, Manduria vide una fiorente produzione di zafferano. La coltivazione dello zafferano era complessa e richiedeva la presenza di lavoratori esperti. Lo zafferano è una pianta erbacea dalla quale, mediante essiccazione, si ottiene una polvere gialla utilizzata come colorante per bevande, medicinali, profumi e alimenti. Fino alla metà del secolo scorso, nelle nostre terre si coltivava anche il tabacco. Questa pianta giungeva a maturazione d’estate, e la raccolta avveniva in giornate con poco vento, non umide, e quando sulle foglie comparivano macchie giallastre. Le foglie non dovevano essere troppo secche, poiché altrimenti diventavano fragili e inutilizzabili. Per essiccarle, le foglie di tabacco venivano infilate su un filo di spago teso su un’intelaiatura di legno, per poi essere raccolte e lavorate nelle manifatture locali.

La presenza di paludi lungo la nostra costa alimentò, in passato, la lavorazione del giunco, una pianta che cresceva spontaneamente presso le rive dei fiumi e nei luoghi acquitrinosi. Il giunco, una volta raccolto, veniva bollito ed esposto all’aria perché divenisse bianco e flessibile. Così trattato, veniva utilizzato per impagliare sedie, legare le canne dei cannicci, o per realizzare panieri, ceste e stuoie.

Fino allo scorso secolo, sul nostro territorio venivano coltivati cereali come il granturco e il mais, e vi erano anche piccole piantagioni di lupini, oltre a vasti frutteti e ficheti. Gli alberi di fico, piantati solitamente in ragione di quaranta per tomolo, erano di diverse varietà e maturavano da agosto fino a settembre. Dopo la raccolta, i fichi venivano tagliati a metà, posti sui cannicci e spesso essiccati al sole sulle sommità dei numerosi trulli rurali, oppure in prossimità di pagliai e “casodde”, pronti a essere riparati in caso di acquazzoni improvvisi. Quando i fichi diventavano abbastanza secchi, potevano essere cotti nel forno, farciti con mandorle e aromatizzati con semi di finocchio, buccia di limone e foglie di alloro. Dai fichi verdi si ricavavano marmellate, mentre i decotti di fichi fornivano un dolcificante simile al miele. Lo scarto dei fichi veniva utilizzato per l’alimentazione degli animali.

Walter Pasanisi. Liberamente – Quindicinale di Informazione, Attualità e Cultura. Anno III. N.5. G. Jacovelli, Manduria nel ‘500. A. Pasanisi, Produzione Tessile e Industriale nel XVIII secolo. Liceo Scientifico Statale “Galileo Galilei” Manduria- Quaderno del Ventennale. A. Dimitri, Trulli e muri a secco tra Manduria, Maruggio e Torricella. Testimonianze orali. sig. E. Soloperto. A. Dimitri. Trulli e muri a secco tra Manduria, Maruggio e Torricella.