Quando a Manduria si organizzava il Festival della “Scrasciosa”.

Fu per il gusto di divertirsi che una sera di settembre del 1986 un gruppo di amici composto da G. Argese, G. Alemanno, C. Magliola, P. Fanuli, G. Montalbano, O. Matricardi, C.P. Scacchetti, P. Pichierri e S. Sergi organizzò una festa in una villa sita alla “Scrasciosa” (denominazione di una contrada poco distante da Manduria). Fu allora che alcuni dei presenti si improvvisarono cantanti, intonando canzoni di musica leggera italiana. Da qui nacque l’idea, visto il grande divertimento dei partecipanti, di riproporre quelle canzoni l’anno successivo, ma in versione riveduta e corretta, modificando i testi originali di brani noti al grande pubblico con altri prevalentemente in dialetto manduriano. Si pensò, allora, di trasformare la festa in un bizzarro e stravagante concorso canoro: quello della “canzoni struppiata”. Nacque così il “Festival della Scrasciosa”.

Nelle successive edizioni, le canzoni in dialetto divennero gradualmente il tema principale e le più richieste dagli spettatori. «Vi erano spesso dei doppi sensi, espressioni boccaccesche che colorivano e aumentavano l’atmosfera festosa del festival», ricorda G. Alemanno, uno dei promotori dell’iniziativa. I primi anni della “Scrasciosa” furono presentati da O. Matricardi, mentre le ultime edizioni da G. Alemanno e M. Raho. Col passare degli anni, la manifestazione divenne sempre più popolare. Si divertivano non solo gli organizzatori e i loro amici, ma anche altra gente che, spinta dalla curiosità e dall’allegria, accorreva numerosa al festival. Tanto era l’affezione per la “Scrasciosa” che alcuni turisti, dopo aver trascorso le vacanze estive a Manduria, vi ritornavano a settembre (dopo la festa di S. Gregorio) per assistere allo spettacolo. Il festival fu reso ancor più noto dal gruppo musicale degli “Ota Ota”, che seppe diffondere in tutta Italia, ed oltre confine, le canzoni della “Scrasciosa”, facendole diventare parte integrante del bagaglio che ogni nostro concittadino porta con sé.

La rassegna era solo uno sfogo di allegro e sano esibizionismo, e non si perseguivano mai fini di lucro da parte di organizzatori e concorrenti improvvisati. Spesso, si esibivano cantanti completamente ubriachi di vino (offerto da casa Alemanno) per vincere il panico provocato dal pubblico. Altre volte, si assisteva a trasformazioni al limite del grottesco di concorrenti e presentatori, che si mostravano alla platea in tenute originali. A ogni manifestazione seguiva una cena pantagruelica, generosamente offerta da casa Argese. Nei testi delle canzoni presentate alla “Scrasciosa” si mettevano in risalto episodi e problematiche della Manduria di oggi. In questi motivi si potevano intravedere personaggi (con nomi e cognomi veri) e scene realmente accadute, che traevano spunto non solo da situazioni simpatiche e allegre, ma anche da quelle tragiche (come il furto d’auto con cavallo di ritorno). Il tutto era colorato di ironia e umorismo tipicamente manduriani.

La “Scrasciosa” divenne anche un’immagine grazie alle simpatiche scenografie ideate da C.P. Scacchetti e alla realizzazione di magliette personalizzate che, con un uccellino come simbolo seguito dalla scritta “Scrasciosa Live”, ripercorrevano la cosiddetta tradizione “Mbamps” (il significato di tale termine non ci è stato reso noto). Al festival si poteva vincere attraverso “pastette” delle quali erano tutti a conoscenza e alle quali tutti contribuivano con gioia. La tradizione voleva che la stessa coppa passasse da un vincitore all’altro, di anno in anno. «Non era importante cosa si cantasse o come», ironizza G. Alemanno, «visto che la giuria era sfacciatamente corrotta, venduta e pronta a prostituirsi per un bicchiere di vino, in modo da rendere la manifestazione quanto più vicina ai festival più noti di livello nazionale».

Walter Pasanisi