Le credenze popolari del Meridione d’Italia e, in particolare, quelle della tradizione manduriana hanno spesso suscitato l’interesse dei viaggiatori, specialmente dei viandanti nord-europei. Questi credi, ammirati con meraviglia e curiosità, rivelano la ricchezza del folklore e della cultura popolare italiana, dove ogni gesto, animale o sogno nasconde un significato profondo. È un mondo di simboli e presagi che, nel bene e nel male, mantiene viva l’anima di un popolo radicato nei segreti della terra e nelle meraviglie del mistero.
La “jettatura,” ad esempio, ovvero il malocchio, è considerata reale da molti Italiani, che portano con sé, come amuleto, un piccolo corno di corallo, di madreperla o anche solo d’osso. Molte cose si possono presagire dai sogni: sognare un cavallo bianco preannuncia brutte notizie, mentre cavalli e carrozze sono segno di buona fortuna in arrivo. Anche sognare scarpe è visto come di buon auspicio. Attenzione, però, a versare olio, poiché è considerato presagio di sventura, mentre rovesciare vino è simbolo di allegria e, spesso, annuncia un matrimonio imminente.
Nessuna donna del popolo oserebbe pettinarsi di venerdì, a meno che non voglia rischiare la morte del marito; e il canto monotono della civetta è percepito come un segnale infausto, annunciatore di lutto in famiglia. A Manduria, infatti, questo uccello è comunemente chiamato “aciéddu ti la morti” (“uccello della morte”). La morte, per i nostri antenati, era un evento di grande importanza, celebrato con solenni rituali. Si credeva nei misteriosi ritorni dei defunti e si raccontavano episodi di “ánimi,” spiriti inquieti, che apparivano in sogno per annunciare una morte imminente; di “malómbri,” ombre cattive che incutevano timore nei più suggestionabili; e si temeva il canto funesto ti “l’aciéddu ti la morti” quando si posava sulla finestra della propria casa.
Un’altra antica tradizione si svolgeva nei campi, quando i contadini, al calare del sole, interrompevano il lavoro e, inginocchiati in semicerchio, rivolti verso il tramonto, intonavano una preghiera. Affascinante è anche la suggestione popolare nell’incontro con il Laùru. Questo dispettoso folletto, alto appena trenta o quaranta centimetri, dalla pelle scura e con capelli crespi coperti da un cappello alla calabrese, vestiva di velluto splendente. Il Laùru, con simpatia o antipatia capricciose, chiedeva cosa si desiderasse: se gli si chiedeva un “saccu ti sordi” (“sacco di soldi”), lui portava un sacco di bacche verdi; ma se si chiedeva un sacco di bacche verdi, lui sorrideva e portava denaro.
In questo intreccio di credenze, superstizioni e rituali, il folklore meridionale continua a raccontare storie antiche che parlano di vita e di morte, di speranza e di paura, lasciandoci un affascinante retaggio di mistero e magia che ancora oggi, come un’eco lontana, risuona tra i vicoli e i campi del Sud Italia.
Bibliografia: G. Gigli “Superstizioni, Pregiudizi, Credenze e Fiabe popolari nella Terra d’Otranto”. 1889. J. A. Ross, The Land of Manfred (John Murray, 1899). Fiabe Pugliesi. Mondadori Editore. 1997. La Donna di ieri e di oggi – Istituto Tecnico “L. Einaudi” – Manduria. 1999.